Onorevoli Deputati! - Il presente disegno di legge è stato predisposto e proposto congiuntamente dal Ministro per i diritti e le pari opportunità, dal Ministro della giustizia e dal Ministro delle politiche per la famiglia, a testimonianza del fatto che il Governo intende affrontare il tema della violenza contro le persone che più vi sono esposte, quali i minori, gli anziani e le donne, in modo integrato, affrontando anche i delicati temi della violenza in famiglia o della violenza facilitata da relazioni di tipo affettivo o familiare. L'approccio integrato non riguarda solo i soggetti proponenti, ma anche gli interventi disciplinati, che vanno dalle misure di sensibilizzazione e prevenzione, a modifiche del codice penale, del codice di procedura penale e del codice civile, al fine di assicurare riconoscimento e tutela, sostanziale e processuale, alle vittime di delitti accomunati dalla caratteristica dello squilibrio di forza tra l'aggressore e la parte offesa.
      In questo quadro si iscrivono anche le disposizioni relative alla violenza cosiddetta «di genere», dovendosi con tale espressione intendere tutte le forme di coartazione della libertà, di sopraffazione e di dominio sulla vita e sul corpo femminile, di sopruso o riduzione dell'autonomia e della libertà personali, anche in relazione all'orientamento sessuale, in contesti che sottendono modelli culturali, espliciti o impliciti, portatori di rapporti asimmetrici tra i generi e le generazioni. In quanto mette in discussione il principio di uguaglianza e l'universalità dei diritti umani, la violenza di genere non riguarda una categoria di cittadini o la sola sfera privata, ma investe la società nella sua interezza. Una normativa che la contrasti e la reprima rientra pertanto a pieno titolo tra gli obiettivi prioritari di un sistema democratico.
      Non è peraltro solo un problema di repressione o di ordine pubblico. L'eredità sociale e culturale che affiora dietro le cifre delle statistiche dimostra che esiste un'emergenza sociale. In Italia una donna su due è vittima di una o più molestie a sfondo sessuale nell'arco della vita; un omicidio su quattro avviene tra le mura domestiche; il 70 per cento delle vittime è donna; ogni tre morti violente una riguarda donne uccise dal marito, dal convivente o dal fidanzato; oltre il 90 per cento delle vittime di violenza o di molestie non denuncia il fatto.
      La maggiore consapevolezza della gravità di tali fenomeni e della necessità di affrontarli in tutti i loro aspetti è anche il frutto dell'azione di organizzazioni e associazioni femminili che da molti anni sono impegnate contro ogni forma di violenza di genere e suggeriscono un approccio multidimensionale che non si limita alla repressione del reato, ma affronta in modo integrato i diversi aspetti sociali, relazionali e soggettivi del problema.
      Esclusivamente di carattere repressivo non può e non deve in particolare risultare l'approccio alle violenze che si manifestano nell'ambito familiare coinvolgendone le relative dinamiche. Occorre, al contrario, promuovere una nuova consapevolezza culturale e soprattutto garantire risposte di natura sociale che assicurino la presa in carico dell'intero nucleo familiare senza escludere gli autori degli atti di violenza.
      Il disegno di legge si propone sia di dare una risposta concreta a tale impegno, sia di compiere un ulteriore passo avanti

 

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nell'attuazione degli articoli 2 e 3 della Costituzione, sia di rispondere alle molteplici sollecitazioni internazionali, contenute nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, nella Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro la donna del 1979, nella Dichiarazione delle Nazioni Unite sull'eliminazione della violenza contro la donna del 1993, nelle risoluzioni della IV Conferenza mondiale sulla donna di Pechino (1995). E ancora: nel Rapporto del Parlamento europeo del luglio 1997, nella risoluzione della Commissione dei diritti umani delle Nazioni Unite del 1997 e nella Dichiarazione del 1999, Anno europeo della lotta contro la violenza di genere. Più recentemente, la raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa (2002)5 e la decisione n. 803/2004/CE del Parlamento europeo, del 21 aprile 2004, con la quale è stato approvato un programma di azione comunitaria (2004-2008) per prevenire e combattere la violenza esercitata contro l'infanzia, i giovani e le donne e proteggere le vittime e i gruppi a rischio. Ultimo, in ordine di tempo, il Piano 2006 del Consiglio d'Europa contro la violenza alle donne, con particolare riferimento alla violenza domestica.
      Il disegno di legge propone tre livelli integrati di intervento in tutti i casi di violenza: misure di sensibilizzazione e prevenzione contro la violenza in famiglia, di genere e contro le discriminazioni; riconoscimento di diritti alle vittime di violenza; tutela penale delle vittime di violenza, ampliamento della tutela processuale, sia penale che civile.
      Le misure di sensibilizzazione e prevenzione consistono innanzitutto nella previsione di interventi di informazione; di formazione scolastica e universitaria; di formazione specifica del personale sanitario; di divieto dei messaggi pubblicitari offensivi e discriminatori in relazione al genere; di monitoraggio statistico costante del fenomeno della violenza in famiglia e di genere, funzionale alla progettazione di nuove politiche di contrasto.
      Il provvedimento introduce poi una vera e propria «carta dei diritti» della vittima di violenze, volta a garantire, per la prima volta, un supporto psicologico ma anche sociale, economico, familiare e previdenziale. L'aiuto alle vittime è strutturato in modo tale da assicurare loro un pronto intervento relativo all'intero nucleo familiare ed un sostegno a medio termine volto alla ricostruzione della loro piena autonomia. Si prevede che le vittime possano contare su una rete di servizi territoriali tra loro integrati, efficacemente operanti nell'ambito dei servizi sociali garantiti dalla fondamentale riforma del 2000, dotati di personale specializzato e in grado di affrontare sia problemi immediati che problemi di medio e lungo termine. L'intervento dei servizi socio-assistenziali sarà peraltro facilitato dalla previsione di un obbligo di comunicazione che il disegno di legge pone a carico dell'autorità giudiziaria investita dei singoli casi.
      A livello centrale si prevede che siano finanziati programmi di reinserimento lavorativo, assimilabili a quelli già operanti in materia di tratta. La vittima di violenze che denuncia l'aggressione sofferta spesso è per ciò solo privata pure della possibilità di sostentamento per sé e per i propri figli, dipendendo anche economicamente dall'autore della violenza per essere questi coniuge o convivente, ovvero datore di lavoro. Il programma di protezione aiuta la donna vittima di violenze a reinserirsi socialmente e professionalmente riconoscendole nuovi spazi e possibilità anche economiche di mantenersi autonomamente.
      Si prevedono anche interventi in favore dei minori affidati alla cura della vittima di violenze, per evitare che gli stessi subiscano in seconda battuta gli effetti del comportamento delittuoso già sofferti dalla madre.
      L'intervento nella materia penale opera a vari livelli.
      Quanto agli interventi in tema di violenza sessuale, il disegno di legge opera sulla descrizione delle aggravanti previste dall'articolo 609-ter del codice penale, sottolineando la gravità del fatto commesso
 

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da chi abbia con la vittima un rapporto privilegiato anche e soprattutto di tipo familiare, perché tale condizione normalmente crea un affidamento e un conseguente abbassamento del livello di guardia nella vittima, e individuando situazioni di particolare e deprecabile prevaricazione sulla parte offesa; amplia il novero delle condotte tipiche dei reati di corruzione di minorenne, estendendola al caso di esibizione di materiale pornografico, attualmente estranea alla descrizione della condotta tipica contenuta nell'articolo 609-quinquies del medesimo codice penale; estende il principio dell'inescusabilità dell'ignoranza dell'età minore di quattordici anni della parte offesa anche ai delitti contro la libertà individuale.
      Si segnala in particolare la nuova fattispecie delittuosa dell'adescamento di minorenni, che mira a reprimere quelle forme di approfittamento della fiducia di un minore degli anni sedici, realizzate mediante l'instaurazione di relazioni amichevoli, anche attraverso forme di comunicazione a distanza (telefono, sms, chat line, eccetera), in funzione del compimento di delitti sessuali. In tal modo si è inteso approntare uno strumento, noto e sperimentato dalle legislazioni di altri Stati europei, volto a prevenire i reati di sfruttamento sessuale ed abuso dei minori la cui commissione risulta spesso agevolata proprio dalle relazioni stabilitesi tra il reo e la vittima.
      Il disegno di legge incide anche sui meccanismi di computo della pena relativa ai reati di violenza sessuale, escludendo il bilanciamento tra circostanze attenuanti e circostanze aggravanti, con l'effetto di comportare un inasprimento delle sanzioni applicabili. Peraltro, considerando che l'attuale assetto normativo prevede già ora pene consistenti, non si è ritenuto di prevedere ulteriori specifici aggravamenti.
      Il disegno di legge interviene sulla fattispecie del delitto di maltrattamenti in famiglia, aumentando le pene detentive previste per le varie ipotesi e trasformando in aggravante l'essere la vittima persona di età inferiore ai quattordici anni.
      Di particolare interesse è la nuova fattispecie delittuosa degli atti persecutori, finalizzata ad assicurare un più efficace intervento repressivo rispetto a comportamenti vessatori, perduranti nel tempo e sovente precursori di più efferate aggressioni. Per tale delitto, tra l'altro, è proposto un regime sanzionatorio che consente l'applicazione di misure cautelari, ciò che potrà in molti casi contribuire ad evitare che si giunga ai drammatici epiloghi di cui ormai troppo spesso narra la cronaca.
      Il disegno di legge prevede inoltre nuove figure delittuose idonee a sanzionare adeguatamente la sottrazione di minorenni, consensuale o no, allorché il minore sia condotto o trattenuto all'estero. Con ciò si intende dare una risposta sanzionatoria più appropriata in particolare a quei casi in cui la sottrazione dei minori avviene, direttamente o indirettamente, ad opera di uno dei genitori, specie quando si tratta di figli nati da coppie di cui uno dei genitori sia cittadino straniero. Attualmente, se uno dei genitori - direttamente o indirettamente - sottrae il figlio, trasferendolo lecitamente o illecitamente all'estero e qui trattenendolo, spesso impedendo ogni forma di contatto, anche epistolare e telefonico, con l'altro genitore, il regime penale, qualora non sia ravvisabile un'ipotesi di sequestro di persona, è tale da comportare sanzioni di fatto lievi, e quindi di scarsa efficacia dissuasiva, e tali da non consentire il ricorso a strumenti investigativi, quali ad esempio le intercettazioni telefoniche, che spesso sarebbero indispensabili a fini della localizzazione del minore.
      Nei fatti, e specie se il genitore che opera la sottrazione è straniero e porta il figlio all'estero, si tratta di situazioni difficilmente reversibili, che danneggiano gravemente la personalità del minore, sradicato dal suo ambiente di vita e dalle sue relazioni affettive.
      Apprestare più penetrante tutela penale e consentire il ricorso a strumenti investigativi più efficaci può contribuire a scoraggiare comportamenti antigiuridici che spesso rimangono privi di effettiva sanzione. Si consideri che, nei fatti, la
 

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soluzione dei casi che coinvolgono cittadini stranieri è attualmente affidata per lo più ai canali diplomatici, dal momento che la Convenzione de L'Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, ratificata dall'Italia ai sensi della legge 15 gennaio 1994, n. 64, non è stata ratificata da alcuno Stato nord-africano o medio-orientale, ad eccezione della Turchia e di Israele.
      Per queste situazioni, il disegno di legge propone dunque una fattispecie autonoma di reato, punita con pene più gravi di quelle stabilite dagli articoli 573 e 574 del codice penale, commisurate al grado di allarme sociale e proporzionate alla gravità dell'offesa inflitta.
      In una più complessiva ottica di tutela dei soggetti deboli, si è ritenuto fosse questa la sede opportuna per introdurre una modifica anche all'attuale disciplina del delitto di truffa, con riferimento all'ingravescente fenomeno delle truffe ai danni di persone anziane. In tali situazioni, cui vanno aggiunte quelle in cui il truffatore sfrutta le caratteristiche di personalità della vittima o delle condizioni di fatto sfavorevoli rispetto ad una corretta valutazione del contesto, si verifica un approfittamento particolarmente spregevole della credulità della vittima, spesso cagionando un danno non solo economico, ma anche morale, sia sotto il profilo del conseguente sentimento di profonda vergogna e disistima personale della vittima, sia sotto il profilo dell'angoscia per avere perso risorse economiche non di rado essenziali. Ciò comporta grave allarme sociale, cui non corrisponde, attualmente, un'adeguata risposta sanzionatoria.
      Si prevede pertanto l'introduzione di una specifica aggravante al secondo comma dell'articolo 640 del codice penale, con l'effetto non solo di rendere più adeguata la pena irrogabile rispetto all'effettiva gravità del reato ed all'allarme sociale suscitato, ma di consentire altresì interventi idonei anche in sede cautelare.
      Il disegno di legge, inoltre, apporta alcune integrazioni alle norme che reprimono le forme di discriminazione razziale, etnica e religiosa: viene introdotto anche il riferimento alle forme di discriminazione fondate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere; ciò consente, tra l'altro, di rendere operante in generale, ma più specificamente nella materia dei reati di violenza sessuale, l'aggravante prevista dall'articolo 3 della cosiddetta «legge Mancino» (decreto-legge n. 122 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 205 del 1993).
      In particolare, e con riferimento ai reati previsti dall'articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, è prevista la possibilità che la Presidenza del Consiglio dei ministri si costituisca parte civile nel processo per ottenere il risarcimento dei danni causati allo Stato da tali delitti.
      Nella materia processuale, le innovazioni elaborate mirano a rendere più veloce e più efficace il processo e ad assicurare alla vittima, con particolare riferimento ai delitti di violenza sessuale, protezione e sostegno più intensi, congrui alla gravità dell'offesa subita e alle sue conseguenze traumatiche.
      L'esigenza della celerità dei processi motiva la scelta di prevedere, come doveroso, il ricorso al rito immediato, ampliando peraltro il termine entro cui esso può essere chiesto.
      Ancora, il disegno di legge prevede la possibilità per i soggetti istituzionalmente preposti all'assistenza alle vittime dei delitti di violenza sessuale o commessi nell'ambito familiare, e in particolare per gli enti locali e i centri antiviolenza, di intervenire nel processo, offrendo così alla vittima un significativo, solidale affiancamento nel corso del processo.
      Di particolare importanza è la disposizione che riconosce all'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile, attribuito alla responsabilità del Ministro delle politiche per la famiglia, la possibilità di intervenire in giudizio a sostegno dei minori vittime di abusi.
      Analoga facoltà è prevista a favore della Presidenza del Consiglio dei ministri rispetto ai procedimenti per delitti di violenza di genere o per ragioni discriminatorie.
 

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      Il disegno di legge prevede, inoltre, l'introduzione di precauzioni nella concessione di benefìci ai detenuti condannati per delitti in materia sessuale ai danni di minorenni. In particolare si prevede che tali benefìci debbano essere subordinati ad una positiva partecipazione a specifici programmi di riabilitazione.
      Infine, si prevedono misure finalizzate a conferire maggiore efficacia agli ordini di protezione in materia civile.
      Il disegno di legge è ripartito in quattro capi.
      Nel capo I, denominato «Misure di sensibilizzazione e di prevenzione contro la violenza in famiglia, di genere e contro le discriminazioni», sono contenute le norme concernenti le campagne di informazione e di sensibilizzazione sul problema della violenza di genere, gli interventi programmati sul sistema educativo, sul sistema sanitario e sul sistema comunicativo.
      L'articolo 1 (Campagne di informazione e di sensibilizzazione) prevede che i poteri pubblici, ciascuno per le proprie competenze, realizzino campagne periodiche di informazione e di sensibilizzazione al fine di prevenire la violenza in famiglia, di genere e le discriminazioni, anche acquisendo il parere dell'Osservatorio nazionale contro la violenza sessuale, di genere e per ragioni di orientamento sessuale.
      Si tratta di una norma di principio che responsabilizza i poteri pubblici alla prevenzione del fenomeno della violenza e delle discriminazioni.
      Come si è detto nella parte generale della presente relazione, il problema non riguarda infatti solo i protagonisti delle singole vicende, ma la società nel suo complesso.
      L'articolo 2 (Princìpi e strumenti nel sistema dell'istruzione e della formazione) inserisce tra le finalità del sistema formativo - inteso nel suo complesso, sia con riguardo alla formazione scolastica, sia con riguardo alla formazione universitaria e post-universitaria, sia per quello che riguarda i corsi di specializzazione e di aggiornamento professionali - la valorizzazione della pari dignità sociale e di fronte alla legge di ogni persona, senza discriminazioni di nessun genere. La norma costituisce attuazione del principio di eguaglianza contenuto all'articolo 3 della Costituzione poiché, nell'imporre come obiettivo ultimo la rimozione dei pregiudizi nei confronti dei portatori di differenze, coinvolge tutto il sistema dell'istruzione scolastica, universitaria e post-universitaria nella rimozione degli ostacoli di ordine economico, sociale e culturale che impediscono la piena uguaglianza di uomini e donne.
      Al comma 2 l'articolo prevede che tra le iniziative formative rivolte ai docenti sia data priorità a quelle volte ad approfondire le tematiche del rispetto del principio di uguaglianza tra i sessi costituzionalmente garantito e della dignità della donna.
      L'articolo 3 (Princìpi e strumenti nel sistema sanitario) al comma 1 detta una disposizione di principio - che novella il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 - volta a confermare nel sistema sanitario le finalità di valorizzazione della pari dignità sociale di ogni persona, senza discriminazione alcuna. Anche questo intervento, così come quello in ambito formativo, nel dare attuazione all'articolo 3 della Costituzione, responsabilizza l'amministrazione sanitaria alla rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono la piena uguaglianza di uomini e donne, nel rispetto e nella valorizzazione della differenza di genere.
      Il comma 2 arricchisce il contenuto del titolo II del libro II del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, che, nel medesimo titolo II, denominato «Contrasto alla violenza nelle relazioni familiari», prevede solo una norma di rinvio alla disciplina introdotta con la legge n. 154 del 2001. Il titolo II è pertanto modificato nella denominazione e reintitolato «Contrasto alla violenza nelle relazioni familiari e sostegno alle vittime attraverso misure di tipo sanitario, previdenziale e di comunicazione».
      Il comma 3 prevede che nell'ambito delle iniziative di formazione professionale del personale sanitario siano promossi
 

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programmi di sensibilizzazione e di formazione specifica sui temi della violenza: chi per primo ha il contatto con la vittima della violenza deve infatti essere in grado di riconoscere il problema con immediatezza e di fornire alla vittima l'assistenza più idonea, anche di tipo psicologico.
      L'articolo 4 (Sistema comunicativo e pubblicità discriminatoria) introduce, nel contesto della prevenzione dei fenomeni di violenza di genere, accanto alle campagne di sensibilizzazione e di formazione a carico dei pubblici poteri, un intervento specifico sui messaggi mediatici e pubblicitari. Si proibisce a tutti i mass media di utilizzare a fini pubblicitari l'immagine della donna o i riferimenti all'orientamento sessuale della persona o alla identità di genere in modo vessatorio o discriminatorio.
      Analogamente a quanto già avviene in materia di pubblicità ingannevole, si introduce la possibilità di ricorso, su istanza del Ministro per i diritti e le pari opportunità e di tutte le amministrazioni interessate in ragione dei propri compiti istituzionali, all'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Tale Autorità ha facoltà di inibire la prosecuzione della trasmissione illecita ed anche di rimuovere gli effetti dannosi che nelle more si siano prodotti.
      Al fine di rafforzare la possibilità di verifica del prodursi di situazioni vietate dalla norma in commento, si prevede che l'iniziativa del Ministro per i diritti e le pari opportunità possa essere assunta anche su sollecitazione del pubblico degli spettatori, così come di associazioni e organizzazioni che abbiano per scopo istituzionale la tutela dei princìpi di eguaglianza e non discriminazione
      L'articolo 5 (Statistiche sulla violenza), al fine di individuare le tipologie di intervento più utili per il contrasto dei fenomeni di violenza in famiglia e di genere e di valutare tramite un'adeguata attività di monitoraggio l'effetto delle politiche di prevenzione attuate, prevede che l'Istituto nazionale di statistica realizzi rilevazioni statistiche su violenza e maltrattamenti, che ne misuri le caratteristiche fondamentali e individui i soggetti più a rischio, con cadenza almeno quadriennale. Solo un costante monitoraggio del fenomeno della violenza, dei soggetti maggiormente a rischio e dell'esito degli interventi già operati consentirà infatti ai poteri pubblici di comprendere come meglio orientare i successivi interventi al fine di adeguarli alle mutate esigenze che provengono dall'analisi del sociale.
      L'articolo 6 (Sistema previdenziale) opera in ambito previdenziale e consente alle lavoratrici autonome, che siano state vittime dei reati di cui agli articoli 572, 609-bis e 609-octies del codice penale, che per questo si trovino impossibilitate a svolgere la propria attività e che siano prive di copertura assicurativa per i rischi da malattia, di essere esonerate, secondo modalità che verranno stabilite con successivo decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per i diritti e le pari opportunità, dal versamento di contributi e premi per un periodo massimo di sei mesi, durante il quale è riconosciuto un accredito figurativo.
      L'articolo 7 (Registro dei centri antiviolenza) prevede l'istituzione di un registro in cui sono iscritti i centri antiviolenza che agiscono in ambito sovraregionale, ovvero che operano nell'ambito di una rete con dimensione sovraregionale, e che svolgono compiti di assistenza alle vittime della violenza. Tale registro è collocato presso il Dipartimento per i diritti e le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri con lo scopo di monitorare l'esistenza e l'operatività dei centri antiviolenza, di garantire livelli minimi di prestazione il più possibile omogenei su tutto il territorio nazionale e di orientare eventuali politiche di intervento. L'iscrizione nel registro, aggiornata con periodicità annuale, avviene tramite procedure stabilite con decreto del Ministro per i diritti e le pari opportunità, che definisce anche le modalità per documentare il possesso dei requisiti prescritti dallo stesso articolo.
 

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      Il possesso dei requisiti richiesti rappresenta un filtro necessario a selezionare i centri antiviolenza effettivamente operativi sul territorio secondo criteri di continuità, professionalità e trasparenza. È richiesto ai centri di documentare l'avvenuta costituzione da almeno un anno con statuto, la loro democraticità interna, lo scopo sociale di tutela delle vittime di violenza e l'assenza di fini di lucro. Sono inoltre richiesti la tenuta di un elenco aggiornato degli iscritti, con indicazione delle quote versate dagli stessi, la tenuta di libri contabili e la redazione di un bilancio annuale, in conformità alle norme in materia di contabilità delle organizzazioni non lucrative a carattere sociale. Sono richiesti altresì requisiti di moralità per i legali rappresentanti, oltre all'assenza di eventuali conflitti di interesse.
      Il capo II comprende una sorta di carta dei diritti delle persone e delle famiglie vittime di fenomeni di violenza.
      L'articolo 8 (Livelli essenziali delle prestazioni socio-assistenziali in favore delle persone e delle famiglie vittime di reati) disciplina i livelli essenziali delle prestazioni che devono essere assicurate alle vittime dei reati di violenza sessuale, di induzione e sfruttamento alla prostituzione minorile, di maltrattamento, di corruzione di minorenne e di atti sessuali con minorenne, nonché di violenza sessuale di gruppo.
      In primo luogo viene in rilievo la necessità dell'informazione delle vittime sulle misure previste dalla legge riguardo alla loro protezione e alla loro sicurezza e riguardo ai diritti di assistenza e soccorso. Il diritto di informazione è un diritto «strumentale» all'esercizio degli altri diritti pure riconosciuti in questa disposizione.
      Viene poi in rilievo il livello di assistenza sociale integrata che deve essere assicurata alla vittima. La normazione proposta attua un concetto di assistenza sociale piuttosto ampio, comprensivo del primo soccorso, dell'accoglienza e del recupero integrale. Le vittime della violenza hanno infatti una pluralità di esigenze che vanno dalle prime cure per gli effetti fisici della lesione sofferta, alla necessità di essere inserite in un contesto sicuro per evitare il possibile perpetrarsi di ulteriori violenze, alla necessità di un aiuto concreto per il reinserimento a livello sociale. Questo ultimo fenomeno è particolarmente sentito nei casi di violenza perpetrata in ambito familiare, laddove la rottura dei rapporti, derivata dalla presa di coscienza della vittima che infine decide di denunciare il familiare o il convivente, comporta la necessità di trovare una diversa sistemazione abitativa, spesso senza i mezzi economici per farlo.
      L'assistenza alla vittima si sviluppa nella prestazione di assistenza psicologica, nel sostegno sociale, nell'appoggio in materia di formazione e di inserimento professionale. La disposizione, sulla scorta di quanto già previsto dalla legge quadro sui servizi sociali (legge n. 328 del 2000), prevede che i servizi che assistono le vittime debbano integrarsi tra loro e, quel che più conta, che debbano essere facilmente individuabili e fornire un'assistenza anche a medio termine potenzialmente rivolta all'intero nucleo familiare.
      L'articolo 9 (Programmi di protezione della vittima di violenza) prevede che le regioni, gli enti locali e i centri antiviolenza possano presentare, per il finanziamento statale a valere sull'apposito Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità istituito presso il Dipartimento per i diritti e le pari opportunità, progetti concernenti programmi di protezione sociale e di reinserimento delle vittime di violenza per ragioni di genere o di orientamento sessuale che, per effetto della violenza subita, manifestano difficoltà di reinserimento a livello sociale e lavorativo. I programmi di protezione sociale e di reinserimento potranno riguardare il soddisfacimento delle esigenze abitative della vittima, quanto meno con riferimento alla durata del processo penale, il reinserimento professionale, le esigenze di cura e sostegno dei figli a carico. Le procedure e i criteri per l'assegnazione dei finanziamenti per la realizzazione dei programmi di protezione sociale e di reinserimento sono stabiliti con apposita intesa
 

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in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
      La norma introduce una procedura che ricalca quella già attuata con successo per la protezione delle vittime di tratta, violenza e grave sfruttamento dall'articolo 18 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonché dagli articoli 12 e 13 della legge 11 agosto 2003, n. 228. I centri antiviolenza potranno presentare progetti destinati a sostenere la vittima di violenza nella fase di reinserimento sociale e lavorativo; tali progetti potranno farsi carico delle esigenze di cura e sostegno dei figli a carico, al fine di evitare che si creino delle vittime ulteriori in coloro che già subiscono il trauma di assistere alla violenza perpetrata su una persona amata. Il Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità istituito presso il Dipartimento sarà destinato in parte al soddisfacimento di siffatte istanze di finanziamento.
      Nel capo III, intitolato «Delitti contro la persona e la famiglia», si concentrano tutte le norme che, innovando il codice penale, il codice di procedura penale, alcune leggi speciali e l'ordinamento penitenziario, rappresentano l'immediata realizzazione della tutela contro forme di violenza e prevaricazione finora trascurate, sottovalutate, dimenticate.
      L'articolo 10 (Maltrattamenti contro familiari e conviventi) interviene sull'articolo 572 del codice penale, aggravando le pene in esso previste sia per la fattispecie base, sia per la prima delle ipotesi aggravate. Inoltre, la commissione del reato ai danni di persona minore degli anni quattordici, legata all'autore del reato dalle relazioni elencate nel primo comma della norma, viene a costituire ipotesi aggravata del reato medesimo.
      L'articolo 11 (Sottrazione e trattenimento di minore all'estero) introduce nel codice penale l'articolo 574-bis, relativo alla sottrazione del minorenne al genitore esercente la potestà genitoriale o al tutore, allorché il minore sia condotto o trattenuto all'estero contro la volontà del medesimo genitore o tutore. Attualmente, una simile condotta non può che rientrare, a seconda dell'età del minore e della presenza o meno del suo consenso, nell'ambito di applicazione degli articoli 573 o 574 del codice penale, che prevedono la pena della reclusione fino, rispettivamente, a due o tre anni. Le nuove disposizioni comminano la pena della reclusione da uno a sei anni nel caso in cui un minore di quattordici anni o ultraquattordicenne, se dissenziente, sia condotto all'estero ovvero non riaccompagnato in Italia; la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni nel caso in cui il minore condotto ovvero trattenuto all'estero sia di età superiore ai quattordici anni e consenziente.
      Così come configurato, il delitto rientra nella giurisdizione del giudice italiano anche allorché la condotta criminosa sia iniziata all'estero (come nel caso in cui il minore sia condotto all'estero in vacanza con il consenso del genitore esercente la potestà genitoriale, e poi non più fatto rientrare in Italia, infrangendo l'accordo iniziale). In tal modo, si tutelano tutte le situazioni familiari consolidate nel territorio italiano, a prescindere dalla nazionalità dei soggetti coinvolti. Il terzo comma, infine, prevede la pena accessoria della sospensione dall'esercizio della potestà genitoriale a carico dell'autore del reato che sia genitore del minore sottratto.
      L'articolo 12 (Modifiche alle norme sui delitti contro la personalità individuale e la libertà personale) prevede una serie di interventi sostanziali sugli articoli contenuti nella sezione I e, più massicciamente, nella sezione II del capo III del titolo XII del libro II del codice penale, intitolate la prima ai delitti contro la personalità individuale e la seconda ai delitti contro la libertà personale.
      Comma 1. La norma estende ai delitti contenuti nella sezione I, se commessi contro persone minorenni, la regola dell'inescusabilità dell'ignoranza dell'età della persona offesa, inferiore ai quattordici anni, sancita dall'articolo 609-sexies a proposito dei delitti contro la libertà personale. L'attuale lacuna può infatti rendere inoperante l'aggravante specifica contemplata da alcuni articoli della sezione I e
 

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consentire addirittura che gli autori di gravissimi reati, quali la pornografia minorile ovvero la prostituzione minorile, restino impuniti.
      Comma 2. La precisazione così introdotta all'articolo 609-bis, che costituisce una specificazione dell'articolo 133 del medesimo codice, vuole portare ad una particolare attenzione nell'individuazione dei casi di minore gravità del delitto di violenza sessuale.
      Comma 3. La previsione specifica l'aggravante di cui all'articolo 609-ter, primo comma, numero 2), ampliando l'elencazione dei mezzi di interferenza con la volontà della vittima a tutti quelli, ancorché non classificabili come sostanze narcotiche o stupefacenti, comunque capaci di ridurre la capacità della vittima a determinarsi liberamente.
      Commi 4 e 5. Sempre nell'ambito delle aggravanti previste dall'articolo 609-ter, primo comma, il numero 5), che attualmente si limita a stabilire l'aggravante relativa alla commissione del delitto ai danni di minore degli anni sedici da parte del genitore anche adottivo, dell'ascendente o del tutore, viene ampliato a ricomprendere l'ipotesi di delitto commesso ai danni di persona anche maggiorenne da parte delle categorie di persone già menzionate.
      Viene poi introdotto il numero 5-bis), che aggrava il delitto commesso dal coniuge o dal convivente, ovvero da persona cui la vittima comunque sia o sia stata legata da relazione affettiva: si vogliono così sottolineare la gravità e la spregevolezza dell'approfittamento di una situazione di consuetudine nelle relazioni intime.
      Il numero 5-ter) dispone poi l'aggravante anche relativamente al caso di violenza sessuale ai danni di minorenne, senza ulteriori specificazioni, perpetrata da chi con il minorenne medesimo abbia una relazione di convivenza ovvero di affidamento per qualsiasi ragione.
      Infine, il numero 5-quater) qualifica come specifica aggravante la commissione del reato di violenza sessuale ai danni di donna in stato di gravidanza.
      Comma 6. Si applica anche al delitto di atti sessuali con minorenne il criterio valutativo chiarito descrivendo il comma 2.
      Comma 7. L'articolo 609-quinquies, che prevede il reato di corruzione di minorenne, attualmente punisce chi compie atti sessuali alla presenza di persona minore dei quattordici anni, al fine di farla assistere. Si prevedono due integrazioni:

          a) la prima individua come condotta punibile, rientrante nel concetto di corruzione di minorenne, anche l'esibizione di materiale pornografico qualificata dall'intendimento di indurre il minorenne a compiere o a subire atti sessuali;

          b) la seconda introduce anche per questo reato, nelle due ipotesi previste, l'aggravante relativa al rapporto di parentela, vigilanza o convivenza.

      Comma 8. Si introducono due nuovi articoli. L'articolo 609-undecies prevede il reato di adescamento di minorenni. Il fenomeno, conosciuto all'estero come «grooming», è un metodo usato per indebolire la volontà del minore in modo da ottenerne il massimo controllo. In questo processo, ancora scarsamente studiato in Italia, colui che abusa «cura» (grooms) la vittima, inducendola gradualmente a superare le resistenze attraverso tecniche di manipolazione psicologica. Il metodo può essere diverso: ad esempio mediante una subdola opera di convincimento effettuata attraverso una normale comunicazione (ad esempio, chat) o supportando questa attività con l'invio di immagini pedopornografiche al minore. Il fine è sempre lo stesso: cioè quello di convincere la potenziale vittima della normalità dei rapporti sessuali tra adulti e minori.
      Questa tipologia di adescamento, proprio perché svolta in maniera «amichevole», è in realtà molto insidiosa ed è utilizzata soprattutto in INTERNET e attraverso lo scambio di sms.
      Il dibattito circa la possibilità di inserire il «grooming» come una vera e propria fattispecie di reato nella legislazione penale degli Stati membri dell'Unione europea è alquanto recente: il Comitato per

 

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la Convenzione sul Cyber Crime del Consiglio d'Europa in un suo rapporto ha messo in guardia i Paesi interessati circa il rischio del «grooming» effettuato attraverso INTERNET ed i telefoni cellulari. In effetti se ne parla molto però, specialmente in Europa, la legislazione nazionale dei Paesi è alquanto carente. Infatti l'unico Stato che ha recentemente introdotto la previsione del «grooming» come fattispecie di reato è il Regno Unito specificando che: «è reato ogni condotta tesa ad organizzare un incontro, per se stessi o per conto di terzi, con un minore al fine di abusarne sessualmente». Altri Paesi che hanno introdotto una ancora più specifica fattispecie di reato relativa al «grooming» sono l'Australia, il Canada e alcuni Stati degli USA, i quali hanno previsto sanzioni penali per il solo fatto di instaurare una comunicazione (attraverso INTERNET) al fine di sedurre un minore per poi abusarne sessualmente.
      Ai sensi della citata Convenzione, allo stato attuale, per «grooming» si intende la condotta dell'adulto che comunica con il minore o compie altre azioni finalizzate ad incontrarlo, con l'intento di commettere reati quali l'abuso sessuale, la prostituzione o per organizzare performance pornografiche.
      Il limite di età della vittima, entro il quale si configura il reato in oggetto, è stato individuato tenendo in conto l'influenzabilità che normalmente caratterizza i soggetti minorenni appartenenti a tale fascia.
      L'articolo 609-duodecies prevede uno specifico meccanismo di valutazione delle circostanze aggravanti e attenuanti, già utilizzato da una serie di norme che hanno inteso sottolineare la gravità dei reati di cui si occupano (inter alia, si veda l'articolo 7 del decreto-legge 31 dicembre 1991, n. 419, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 1992, n. 172; l'articolo 3 del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205). In sostanza, si esclude che il giudizio di bilanciamento tra aggravanti e attenuanti possa portare alla prevalenza delle attenuanti o all'equivalenza. Pertanto, l'applicazione di eventuali attenuanti opererà solo sulla pena già risultante dall'applicazione delle aggravanti. L'effetto è che le pene in concreto applicabili risulteranno più alte.
      L'articolo 13 (Atti persecutori) individua la nuova fattispecie delittuosa degli atti persecutori, che ricomprendono sia le molestie persecutorie, sia le minacce persecutorie. Si vuole così dare adeguato inquadramento e punizione a condotte concrete ormai frequenti, ma allo stato non classificabili in ipotesi di reato che ne rispecchino l'effettiva offensività e pericolosità.
      Secondo la descrizione della condotta che si propone, gli atti persecutori consistono nella ripetizione assillante di molestie oppure di minacce, tali da sconvolgere la qualità di vita della parte offesa, ovvero da porla in stato di grave disagio fisico o psichico, soggezione o paura per la sicurezza personale propria e dei propri cari.
      Come già sopra evidenziato, sono stati fissati limiti di pena più congrui alla gravità dell'offesa arrecata, e tali altresì da consentire l'applicazione di misure cautelari, in modo da assicurare le eventuali connesse esigenze di tutela sociale. Per i casi più gravi, infine, si prevede la perseguibilità d'ufficio.
      Si sottolinea qui che tale nuova fattispecie criminosa assicura un'efficace repressione anche di quei comportamenti vessatori perduranti nel tempo classificati come atti di «bullismo».
      L'articolo 14 (Modifica all'articolo 640 del codice penale) introduce nell'articolo 640 del codice penale, relativo al delitto di truffa, una specifica ipotesi aggravata, richiamando il contenuto dell'articolo 61, numero 5), del medesimo codice, e cioè i casi in cui il fatto sia commesso profittando di circostanze di tempo, di luogo o di persona tali da ostacolare la pubblica o privata difesa. Con questa innovazione si produce l'effetto di innalzare la pena fino a cinque anni di reclusione e di rendere possibile, se ne ricorrano le esigenze previste dalla legge, l'applicazione di misure cautelari.
 

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      L'articolo 15 (Modifiche al codice penale), al comma 1, lettera a), integra l'articolo 157 del codice penale, in tema di prescrizione dei reati, nella parte in cui elenca i reati per i quali il normale termine prescrizionale è raddoppiato. I delitti per i quali viene quindi ad operare questo meccanismo sono caratterizzati da una particolare condizione di soggezione o comunque di debolezza nei confronti dell'autore del reato, di talché è verosimile una concreta difficoltà di emersione dei fatti.
      Il comma 1, lettera b), estende i casi di non punibilità previsti dall'articolo 384 del codice penale, che si riferisce ai precedenti delitti contro l'attività giudiziaria, attualmente limitati alle ipotesi in cui la commissione del reato sia da ricollegare alla necessità di salvare se stessi ovvero un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore, al caso di rapporto di convivenza more uxorio.
      Il comma 1, lettera c), modifica l'articolo 576, primo comma, numero 5), che, in relazione al delitto di omicidio volontario, prevede una specifica aggravante per il caso in cui l'omicidio avvenga nell'atto della commissione di reati di violenza sessuale. L'attuale testo della norma citata fa ancora riferimento agli articoli di legge, ormai abrogati, precedenti alla riforma attuata con la legge n. 66 del 1996. È quindi necessario aggiornarne il testo, non senza aver precisato che l'attuale articolo 576, primo comma, numero 5), nelle more, è comunque sempre stato interpretato dalla giurisprudenza in senso conforme alla correzione oggi proposta.
      Il comma 1, lettera d), interviene ad eliminare da una serie di articoli del codice penale il riferimento all'articolo 609-ter, la cui citazione appare impropria, essendo escluso che tale norma sia classificabile fra quelle che definiscono fattispecie autonome di reato, trattando invece delle forme aggravate del reato di cui all'articolo 609-bis. Si tratta pertanto di un mero intervento di correzione sistematica.
      L'articolo 16 (Modifiche al codice di procedura penale), al comma 1, lettera a), aggiunge la fattispecie degli atti persecutori all'elenco dei reati per i quali l'articolo 266 del codice di procedura penale consente il ricorso alle intercettazioni. Tale previsione è in linea con quanto già previsto nel caso delle ipotesi «minori» di minaccia e di molestie: identiche essendo le modalità commissive, analogo deve essere il ricorso ai mezzi di prova già specialmente previsti per tali reati. Si provvede inoltre ad inserire, nel novero delle ipotesi in ordine alle quali è comunque consentito il ricorso alle intercettazioni, i reati previsti dagli articoli 573 e 574, nonché 574-bis, con riferimento al secondo comma, del codice penale, trattandosi di delitti che condividono natura, caratteristiche e necessità di indagine con la fattispecie di cui all'articolo 574-bis, primo comma, introdotto dal presente disegno di legge, per il quale il ricorso alle intercettazioni è consentito a cagione della pena edittale prevista. In tutti i suddetti casi, lo strumento intercettativo appare infatti decisivo, specie per consentire di rintracciare il minore sottratto.
      Il comma 1, lettera b), prevede che i provvedimenti con i quali il giudice dispone l'allontanamento dell'imputato dalla casa familiare siano comunicati all'autorità di pubblica sicurezza, in modo che la medesima possa valutare l'eventuale adozione di misure in tema di armi.
      Il comma 1, lettera c), introduce una nuova speciale misura coercitiva, che completa quella di cui all'articolo 282-bis del codice di procedura penale, consistente nel divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, ovvero dai suoi prossimi congiunti o conviventi. Trattasi di misura particolarmente significativa e opportuna, anche in relazione al reato - di nuova introduzione - di atti persecutori. Con tale previsione sarà infatti possibile impedire che l'aggressore prosegua nell'opera di molestia o minaccia della vittima e dei suoi familiari, con effetto preventivo di sicura efficacia. Anche in relazione a questa categoria di misure è stabilito
 

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l'obbligo di comunicazione all'autorità di pubblica sicurezza.
      Il comma 1, lettera d), prevede una modifica all'articolo 380 del codice di procedura penale e rende obbligatorio l'arresto in flagranza nei casi di violenza sessuale di gruppo, di violenza sessuale aggravata e di atti sessuali con minorenne.
      Questa previsione, fra l'altro, spiega i suoi effetti anche sull'articolo 15 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, in materia di immigrazione, consentendo l'espulsione dello straniero condannato per tali reati, quale misura di sicurezza.
      Il comma 1, lettera e), prevede una modifica all'articolo 392 del codice di procedura penale, che individua i casi in cui è possibile svolgere l'incidente probatorio.
      Attualmente, la norma permette, nei procedimenti per i delitti di violenza e abuso sessuale, nonché per i delitti di cui agli articoli 600-bis e seguenti del codice penale (prostituzione e pornografia minorile), l'assunzione della testimonianza di persona minore degli anni sedici, anche qualora non ricorrano le altre condizioni previste in generale dalla legge. Sostanzialmente, la previsione mira ad estromettere quanto prima il minore degli anni sedici dal processo penale, evitandogli nei limiti del possibile ulteriori turbamenti e traumi.
      L'innovazione rende possibile effettuare con incidente probatorio, sempre con riferimento ai reati citati, l'assunzione della testimonianza del minore ultrasedicenne, nonché della parte offesa anche maggiorenne, trattandosi di delitti portatori di conseguenze psicologicamente distruttive anche nei confronti dei soggetti adulti o quasi adulti. Si giustifica pertanto anche nei loro confronti l'esigenza di limitare quanto possibile la reiterazione del confronto in sede giudiziaria con la ricostruzione di esperienze drammatiche e dolorosamente umilianti.
      Il comma 1, lettera f), sempre nell'ambito della disciplina dell'incidente probatorio relativa ai reati di cui agli articoli 609-bis e seguenti del codice penale, intende abrogare il comma 2-bis dell'articolo 393 del codice di procedura penale, che attualmente impone al pubblico ministero, in tali casi, di depositare tutti gli atti di indagine compiuti, assegnando perciò a tale incombente una disciplina più gravosa - e pregiudizievole rispetto alle indagini ancora in corso - rispetto a quanto invece non sia previsto a proposito di tutte le altre ipotesi di reato. Il pubblico ministero, pertanto, attualmente si trova a dover scegliere se acquisire subito le dichiarazioni della parte offesa minorenne utilizzabili nel dibattimento e «scoprire» tutte le proprie carte, ovvero continuare a tenere riservate le proprie indagini, ma sacrificare i vantaggi (oggettivi e soggettivi) dell'audizione della parte offesa minorenne in epoca prossima alla commissione del reato.
      Il comma 1, lettera g), si pone sulla scia di una recente sentenza della Corte costituzionale (n. 63 del 2005) ed estende il ricorso a modalità protette all'audizione del minore ultrasedicenne e della parte offesa maggiorenne, allorché il giudice ne ravvisi la necessità o l'opportunità in relazione alle esigenze di tutela delle persone coinvolte. Resta ovviamente la necessità di conservare la tutela anche nei confronti dell'adulto infermo di mente, che sia testimone e non anche parte offesa del reato, in ossequio al citato intervento della Corte costituzionale.
      Conseguentemente, l'udienza dedicata all'audizione della persona potrà svolgersi presso l'abitazione della persona medesima, sia essa maggiorenne o minorenne.
      Inoltre, il novero dei delitti per i quali è possibile il ricorso a questa modalità protetta di audizione è esteso alle fattispecie di cui agli articoli 572, 609-quinquies (in relazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 262 del 1998) e 612-bis (introdotto dal presente disegno di legge) del codice penale.
      Il comma 1, lettera h), sulla scia delle innovazioni introdotte all'articolo 398, comma 5-bis, del codice procedura penale, interviene sull'articolo 498, comma 4-ter, del medesimo codice, nella parte in cui prevede e disciplina l'utilizzo dello specchio
 

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unidirezionale e dell'impianto citofonico, integrando l'elenco dei delitti per i quali opera l'innovazione procedimentale ed ampliando alla vittima maggiorenne inferma di mente la possibilità di usufruirne, anche qui con riferimento alla sentenza n. 63 del 2005 della Corte costituzionale.
      Va altresì osservato che il richiamo, operato già ora dal comma 4-bis dell'articolo 498 all'articolo 398, comma 5-bis, estende anche alla fase dibattimentale le modalità protette di audizione delle persone vittime e testimoni dei reati indicati, nella nuova estensione stabilita con l'intervento operato sull'articolo 398 medesimo.
      Il comma 1, lettera i), analogamente all'articolo 15, comma 1, lettera d), interviene ad eliminare dal codice di procedura penale il riferimento all'articolo 609-ter del codice penale quale autonoma ipotesi di reato.
      L'articolo 17 (Giudizio immediato) prevede il ricorso doveroso al giudizio immediato, sempre che ne sussistano in concreto i presupposti fissati dal codice di procedura penale, allorché il pubblico ministero procede per i reati di cui agli articoli 609-bis e seguenti del codice penale. La disposizione proposta, che non modifica l'istituto del rito immediato, intende imprimere velocità ai processi per tali delitti, senza tuttavia pregiudicare le esigenze relative alla raccolta delle prove.
      Al fine di agevolare il ricorso al rito speciale, ed in considerazione della frequente possibilità che, specie nel caso di effettuazione di incidente probatorio, non sia possibile completare le indagini nel termine di novanta giorni, si prevede di elevare a centoventi giorni dall'iscrizione della notizia di reato il termine entro il quale i pubblico ministero deve trasmettere la richiesta di giudizio immediato alla cancelleria del giudice.
      L'articolo 18 (Delitti motivati da odio o discriminazione fondati sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere) interviene su una serie di disposizioni (contenute nella legge 13 ottobre 1975, n. 654, e nel decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205) che reprimono le forme di discriminazione razziale, etnica e religiosa, integrandole mediante il riferimento anche alle forme di discriminazione fondate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere.
      In particolare, si estende il delitto di istigazione al compimento di atti discriminatori o al compimento di atti di violenza determinati da motivi discriminatori anche alle motivazioni fondate sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere. Del pari si estende il divieto di ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione di genere, della partecipazione a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, della prestazione di assistenza alla loro attività. L'intervento sulla cosiddetta «legge Mancino» (citato decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205), oltre all'integrazione della rubrica dell'articolo 1, molto più significativamente amplia la circostanza aggravante prevista dall'articolo 3 estendendone la configurabilità alla finalità di discriminazione o di odio motivato dall'orientamento sessuale e dall'identità di genere.
      Si è ritenuto peraltro necessario, in ossequio al generale principio stabilito dall'articolo 609-septies del codice penale, di escludere la perseguibilità d'ufficio, ricollegata dall'articolo 6 della cosiddetta «legge Mancino» alla configurabilità dell'aggravante di cui all'articolo 3, per il delitto di violenza sessuale di cui all'articolo 609-bis del codice penale.
      L'articolo 19 (Intervento in giudizio), ai commi 1 e 2, consente ai soggetti pubblici o privati che abbiano prestato assistenza istituzionale alle vittime di reati di maltrattamento in famiglia, violenza sessuale, anche di gruppo, atti sessuali con minorenni, atti persecutori, di affiancare la vittima stessa anche nel corso del processo, assicurandole un significativo e solidale sostegno. Qualora tali delitti siano commessi ai danni di minorenni o nell'ambito familiare, la norma consente l'intervento
 

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in giudizio della Presidenza del Consiglio dei ministri, e in particolare dell'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile, operante presso il Ministro delle politiche per la famiglia, palesandosi così la rilevanza etica e sociale dei valori tutelati dalle norme incriminatrici. Analoga facoltà (comma 3) è prevista a riguardo dei procedimenti per i medesimi delitti che coinvolgano profili discriminatori o collegati alla violenza di genere. Il richiamo anche alle norme successive all'articolo 91 del codice di procedura penale chiarisce la necessità che simili interventi abbiano il consenso della parte offesa.
      Il comma 4 prevede, infine, analoga possibilità di intervento a favore dell'ente locale o del soggetto privato che presta assistenza alla vittima di una serie specifica di reati, tra cui quelli previsti dalla legge 20 febbraio 1958, n. 75, e dall'articolo 380, comma 2, lettera d), del codice di procedura penale, nell'ambito di particolari programmi di assistenza, reinserimento e protezione, previsti da leggi speciali.
      L'articolo 20 (Costituzione di parte civile della Presidenza del Consiglio dei ministri nei procedimenti per delitti qualificati dalla discriminazione) prevede che nei procedimenti per i delitti commessi per finalità di discriminazione, motivati da ragioni di discriminazione o aggravati da tale finalità, la Presidenza del Consiglio dei ministri può costituirsi parte civile.
      La norma esprime la convinzione che l'odio discriminatorio che caratterizza tali delitti, comunque sia motivato, si ripercuote sull'ordine sociale, fomentando la violenza e l'astio e arrecando allo Stato un danno del quale è così possibile chiedere il risarcimento.
      L'articolo 21 (Modifica all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354) arricchisce della previsione di specifici programmi di riabilitazione rivolti ai detenuti e agli internati condannati per delitti qualificati dalla violenza o dallo sfruttamento di natura sessuale ai danni di minorenni la materia relativa ai permessi premio, alle misure alternative alla detenzione e all'assegnazione al lavoro all'esterno, già dettagliatamente disciplinata dall'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, sull'ordinamento penitenziario. Con ciò si confida che le autorità preposte all'applicazione dei benefìci indaghino in modo approfondito sulla propensione dei detenuti a delinquere ulteriormente, valorizzando specifici percorsi riabilitativi. Per la definizione di tali percorsi si rimanda peraltro a un successivo decreto adottato dal Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro delle politiche per la famiglia e con il Ministro dell'economia e delle finanze.
      Il capo IV, intitolato «Modifiche al codice civile», intende completare il sistema già innovato dalla legge 4 aprile 2001, n. 154.
      L'articolo 22 (Modifiche all'articolo 342-ter del codice civile) intende dare maggiore efficacia e cogenza agli ordini di protezione che il giudice può impartire ai sensi dell'articolo 342-bis del codice civile nelle situazioni in cui la condotta del coniuge o del convivente sia causa di grave pregiudizio all'integrità fisica o morale, ovvero alla libertà dell'altro coniuge o convivente. La misura che costituisce generalmente il contenuto dell'ordine di protezione, e cioè l'allontanamento del maltrattante, può essere vanificata dalla sua resistenza nella prima fase esecutiva, ciò che pone in una situazione di ulteriore pericolo la parte lesa - e sovente l'intero nucleo familiare al quale il reo appartiene - esposta a prevedibili e pericolose rappresaglie. Con questa innovazione normativa, il giudice autorizza immediatamente il ricorso alla forza pubblica per l'esecuzione dell'allontanamento e, in ogni caso, gli ordini medesimi saranno comunicati all'autorità di pubblica sicurezza, in modo che la medesima possa valutare l'eventuale adozione di misure in tema di armi. Analogamente a quanto previsto al riguardo delle misure cautelari di cui agli articoli 282-bis e 282-ter (introdotto dal presente disegno di legge) del codice di procedura penale.
 

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